Due sondaggi pubblicati da GreenBiz.com recentemente forniscono dei risultati che si completano a vicenda. L'immagine che ne esce, su come il mondo globale delle aziende affronti le scenario del riscaldamento climatico (e delle sue possibile conseguenze tra cui la scarsità di risorse), non è per nulla rassicurante.
La società PwC conduce ogni anno una ricerca “Global CEO Survey” che si rivolge a Chief Executives o Amministratori Delegati a livello internazionale. L'ultimo rapporto raccoglie gli esiti dell'intervista a cui hanno preso parte circa 800 manager di 60 paesi esprimendo la loro opinione su quali fattori esterni rappresentano maggiormente una minaccia per la crescita delle proprie aziende.
Più della metà degli intervistati identifica nell'aumento dei prezzi energetici e delle materie prime i motivi di maggiore preoccupazione. Questo dato si era già manifestato nei rilevamenti degli ultimi tre anni come trend in cresciuta con un + 7% rispetto allo scorso anno ed ha superato in classifica la preoccupazione per la stagnazione delle vendite.
Anche se il rischio rappresentato dalla volatilità dei prezzi di energia e materie prime risulta più sentito dalle economie emergenti dell'Asia e dell'Africa, percentuali importanti di decisori aziendali considerano le questioni legate all'ambiente come un rischio serio da affrontare per le loro aziende e il 47% di loro dichiara di voler ridurre nel prossimo anno l'impronta ecologica dell'azienda.
Una ricerca condotta l'ottobre scorso dall'organizzazione inglese Carbon Trust rileva che, nonostante gli avvertimenti circa una scarsità di risorse tra poche decine di anni, una parte significativa delle grandi aziende e multinazionali non è preparata in alcun modo ad affrontare questo scenario futuro.
La ricerca che ha interessato 475 executives in Inghilterra, America, Brasile, Cina, Corea ha rilevato che - sebbene la maggioranza di loro sia ben cosciente che una riduzione delle risorse significherà un aumento di prezzo per i loro prodotti e servizi- il 43% non sta valutando e monitorando i rischi connessi a disastri ambientali o aumenti di prezzo dell'energia. Oltre il 50% di loro non ha sviluppato progetti per ridurre la produzione di rifiuti, le emissioni di CO2 o il consumo di acqua. Il 41% degli intervistati non crede che siano necessari accorgimenti o cambiamenti sostanziali ai processi aziendali e produttivi prima di 15 anni. Solamente il 20% dichiara che la propria azienda ha in corso progetti che affrontano la questione.
Il 47% degli intervistati ritiene che intraprendere azioni che migliorino la sostenibilità aziendale significhi erodere i profitti, e dallo studio risulta che 1 azienda su 4 non ha neanche un impiegato che si occupi di sostenibilità.
Esistono differenze geografiche tra le varie posizioni che emergono dallo studio: mentre le aziende inglesi ritengono che sia un loro compito ridurre la produzione di rifiuti ed emissioni le aziende brasiliane sono le meno interessate a piani di sostenibilità ambientale.
Risulta anche un differente approccio di settori visto che aziende Business-to-business appaiono più pronte e attrezzate ad affrontare in tempi brevi una crisi di risorse rispetto alle aziende che si rivolgono ai consumatori. Mentre le prime sono preparate a dover affrontare l'evento tra quattro anni le seconde pensano di non avere motivi di preoccupazione prima di dieci anni e 1 su 3 non ha intenzione di sviluppare alcun programma di sostenibilità.
“La ricerca mostra che molte aziende non stanno facendo nulla per affrontare un problema che loro stesse ritengono possa condizionare il loro business nel 2018. Nonostante il nostro quotidiano lavoro con le aziende dimostri che una buona gestione delle risorse può portare nuove opportunità commerciali troppe aziende ritengono che prendere provvedimenti in questa direzione rappresenti solamente un costo e un obbligo ” ha commentato Tom Delay, Responsabile del Carbon Trust presentando i risultati.
Per leggere l'articolo in inglese su GreenBiz.com e vedere l'immagine completa che raffigura i risultati: clicca qui>>
Se inquadriamo questa mancanza di azione delle aziende nei contesti politici di nazioni che hanno governi schiavi delle bizze di una politica che persegue i propri interessi a breve termine, allora abbiamo tutti gli ingredienti per un disastro globale annunciato.
Per trovare segnali di speranza non ci resta che guardare al progressivo risveglio della società civile a cui si sta assistendo in diverse parti del mondo e che si manifesta in diversi modi e ambiti. Per rimanere nell'ambito di studi internazionali, su Affari e Finanza di La Repubblica, è uscito il 17 dicembre un articolo su uno studio prodotto da Gartner, una società di ricerca tra le prime al mondo nel settore IT . Gli analisti di Gartner prospettano l'avvento del “Social Capitalism” in cui l'uso dirompente delle nuove tecnologie sociali cambierà nell'arco di dieci anni gli attuali modelli imprenditoriali. Lo studio parte dalla constatazione di due trend globali convergenti responsabili rispettivamente dell'accentramento della ricchezza nelle mani dell'1% della popolazione da una parte e del peggioramento della situazione economica del 99% della popolazione alle prese con una forte riduzione del reddito o con la povertà dall'altra.
Questa nuova schiacciante maggioranza, secondo lo studio avrà nei social network e nelle community virtuali uno strumento ineguagliabile per fare sentire il proprio peso e ragioni. Neanche le aziende potranno sottrarsi quindi all'influenza e al potere che la rete ha di aggregare e far cooperare senza confini.
“Social network di tutto il mondo unitevi: il nuovo manifesto digitale secondo Gartner, si realizzerà attraverso forme di collaborazione che vedranno gli esclusi della ricchezza ritrovarsi solidali in campagne contro le iniquità sociali”.(1)
Secondo lo studio questa pressione esercitata dall'esterno sarà capace di cambiare la struttura stessa delle aziende. Ne conseguirebbero effetti come una riduzione della gerarchia, l'introduzione di criteri di valutazione generali sull'azienda e sui suoi collaboratori basate sul merito e di criteri di valutazione aziendale da parte delle community. La aziende inoltre si aprirebbero maggiormente alla partecipazione offrendo ad elementi dentro all'organizzazione aziendale, ma anche esterni, la possibilità di contribuire alle decisioni per costruire strategie industriali interattive.
(1) Tratto dall'articolo “Dall'impresa alla società il grande contagio della rivoluzione digitale” di Paola Jadeluca- Affari e Finanza di La Repubblica
Commenti
Aggiungi un commento