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Perché l’austerità è incostituzionale

Sono anni che i media asserviti ci raccontano che l’austerità è necessaria. Poi arriva un ragazzino (1) che analizza alcuni dei sacri teoremi alla base dell’austerità e ci spiega che ci sono degli errori, e quindi tutto il sistema non regge.

Sono anni che i media asserviti ci raccontano che l’austerità è necessaria e che le ricette della Troika sono come una medicina cattiva, vanno prese anche contro volontà.

Con queste argomentazioni, professoroni e pseudo-intellettuali al soldo di banche e corporations ci hanno ripetuto che, se Grecia e Italia erano costrette a soffrire, la colpa era solo dell’ingordigia dei governi e della difficile situazione innescata dalla crisi.

E così, via libera ai prestiti di Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, purché siano rispettate le ricette lacrime e sangue, basate su privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica. Insomma, il solito frutto delle mortifere dottrine neoliberiste.

Poi arriva un ragazzino (1) che analizza alcuni dei sacri teoremi alla base dell’austerità e ci spiega che ci sono degli errori, e quindi tutto il sistema non regge. Ergo, le politiche di austerità in un periodo di crisi non fanno bene al malato, ma finiscono per dissanguarlo.

E si badi che a questo punto l’austerità non è più una scelta politica dei governi, quanto un obbligo comunitario grazie all’approvazione dell’orrido Fiscal Compact, che significa stringere la cinghia a norma di legge per i prossimi vent’anni.

Quindi ci ritroviamo di fronte a un paradosso: una dottrina economica evidentemente sballata ci vincola per le prossime due decadi, nel cieco rispetto di quei parametri di Maastricht innalzati a comandamenti biblici.

Ma, in fondo, ai popoli europei cosa importa che il tasso debito pubblico/Pil non superi il 60%?
Il Giappone sta al 236% (2) e nessuno si suicida per questo. Anzi.

Peccato che il Giappone abbia una moneta propria, mentre la nostra appartenenza all’Euro e l’obbligo di rispettare i parametri di Maastricht ci stanno strangolando sempre più.

Tra l’altro per rientrare nel famoso parametro del 60%, l’Italia (nel 2012 al 127%) (3) dovrebbe o rilanciare la crescita (cosa enormemente difficile in periodi di crisi) oppure tagliare la spesa pubblica e aumentare le tasse. Quale via sarà scelta e darà più frutti, secondo voi?

Aggiungeteci che anche illustri economisti come Paul Krugman (4) (5) e la scuola del Memmt (il think tank neokeynesiano reso celebre in Italia da Paolo Barnard) (6) affermano che la strada dell’austerità porta in questo frangente al suicidio economico, mentre la soluzione migliore per il nostro Paese sarebbe l’uscita dall’Euro e l’impostazione di politiche di spesa a deficit, se necessario rinegoziando gli accordi con l’Ue.

Ma allora, a chi giova? E’ inevitabile pensare che se ne avvantaggino solo le grandi imprese. Un mercato del lavoro fermo, dove la gente per lavorare è costretta a svendersi, permette alle aziende di accaparrarsi agevolmente le migliori intelligenze a prezzi bassissimi. E cosa accadrà quando lo Stato vorrà svendere i gioielli di famiglia per fare cassa? Privatizziamo l’acqua in barba al referendum di qualche anno fa e poi privatizziamo il Colosseo, gli Uffizi, il Canal Grande? In fondo la Finlandia qualche tempo fa propose di far mettere in vendita il Partenone (7) e le isole greche, quindi perché no?

L’unica soluzione possibile per l’Italia è l’uscita dall’Euro, la rinegoziazione dei trattati europei (tenendo in considerazione il momento di crisi) e l’impostazione di politiche di sostegno alla popolazione e al lavoro con la nuova moneta di proprietà del popolo italiano (e non di banche private).

Anche perché, con il non-intervento a favore della popolazione, lo Stato italiano si macchia di un crimine che contrasta in maniera stridente con la stessa Costituzione.

Recita in fatti l’articolo 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. (…)

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato (8).”

Ne consegue che lo Stato ha l’OBBLIGO di intervenire a favore di quanti, non per loro colpa, sono sprovvisti del lavoro e di quanto necessario per vivere in modo dignitoso.

Quindi, ogni trattato che costringa lo Stato a venire meno a questi principi (che, va ribadito, sono stati scolpiti dalla resistenza antifascista), viola in modo evidente la nostra Carta costituzionale e deve essere quindi rigettato dal nostro ordinamento. Fosse anche il trattato istitutivo dell’Unione Europea e dell’Euro, politici, giudici e comuni cittadini sono tenuti a non applicarlo.

La presenza di potenti gruppi di pressione (di cui l’attuale premier (9), come Monti, è espressione) dietro la creazione dell’Euro e dell’Unione Europea non diminuisce di una virgola l’incostituzionalità di quello che sta accadendo, laddove i cittadini sono lasciati morire di stenti pur di non venire meno ai dettati europei.

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