Le api stanno sparendo. Lo hanno detto in molti e lo continuano a ripetere, e anche noi di Unimondo non manchiamo di ricordarlo. Il declino della popolazione mondiale di api da miele è allarmante e dovrebbe preoccupare tutto il mondo, perché il fenomeno è pesantemente globale. Purtroppo però non è ancora chiaro il rischio altissimo che la moria di api porta con sé, e soprattutto non sono chiare le pericolose conseguenze che si riverseranno sui nostri ecosistemi, mettendo in serio pericolo non solo la biodiversità, ma anche l’intera catena alimentare e, di conseguenza, l’accesso alle risorse. Grandi impollinatrici, il loro prezioso lavoro – si continua a ripetere – va preservato: dagli acari, dai CCD (Colony Collapse Disorders, morie di sciami), e soprattutto dai pesticidi che le avvelenano.
Per alzare il livello di allarme non mancano articoli, campagne e studi. E proprio tra questi ultimi spunta una recente quanto singolare ricerca della Harvard’s School of Engineering and Applied Sciences che, in collaborazione con il Department of Organismic and Evolutionary Biology e con il Dipartimento di biologia della Northeastern University ha sviluppato delle api robot. Sembra assurdo – e forse lo è. Si chiamano Robobees e, se date un’occhiata a questo video, vedrete che questi “autominsetti” hanno già imparato a volare. E sono destinati a fare molto altro: impollinare autonomamente campi e raccolti, cercare e salvare vite in situazioni estreme (per esempio dopo un disastro naturale), essere impiegati in operazioni di sorveglianza militare o, meglio ancora, in mappature del territorio e del clima e, perché no, anche monitorare il traffico.
Senza contare che questi piccoli miracoli della tecnologia sono alimentati da minuscoli pannelli solari e rapidamente ricaricabili; massimizzano l’efficienza e il risultato, conoscono alla perfezione le aree da impollinare, possono essere impostati per impollinare solo alcuni tipi di piante e sono equipaggiati per combattere i propri naturali nemici come fossero api vere. Solo che sono creati in materiali facilmente riciclabili e in un batter d’occhio sono attivabili o sostituibili.
Un progetto dunque, quello dei “Micro Air Vehicles”, che trae ispirazione dalla biologia e che riproduce fedelmente i comportamenti degli sciami. Gli sviluppatori di questi capolavori di microingegneria pensati per una produzione di massa hanno reso i robot autonomi con una “mente propria”, che può essere però coordinata con le altre per fare in modo che uno sciame porti a compimento istruzioni più complicate in maniera più rapida ed efficiente. Ogni ape è disegnata con il proprio sistema nervoso elettronico ed è in grado di portare a termine dei compiti grazie a un lettore di raggi solari.
Greenpeace, che da tempo ha attivato una campagna per salvare le api, ha recentemente pubblicato un video che mostra un mondo abitato da questi piccoli robot. “Un futuro che è già qui”. Un mondo perfetto? No, inquietante. Sarà la musica di sottofondo, saranno i bambini che guardano incuriositi e senza timore questi piccoli esseri – no, scusate, questi piccoli computer – mentre camminano sulle loro braccia, sarà l’atmosfera surreale... ma la sensazione fa rabbrividire. In fondo l’idea è quella di piccoli robot che ci volano intorno, uccidendo altri insetti e monitorando il nostro ambiente. É solo una mia impressione o tutto sembra anche a voi decisamente strano?
Le argomentazioni che sostengono lo studio sembrano inattaccabili: il problema che causa la moria delle api è imputabile per la quasi totalità all’uso di pesticidi velenosi in quantità massicce. Basta guardare questo miele blu per farsi un’idea di quanto l’alimentazione delle api abbia poi conseguenze (nemmeno troppo indirette) anche sulle nostre vite. Indi, questi robot permetteranno di continuare a fare il lavoro che le api non potranno più fare. Salvi. E con le coscienze pulite per giunta, perché – come siamo tanto bravi a fare – non avremo corretto i nostri comportamenti, non avremo badato ad arginare scelte discutibili (quando non mortali), ma avremo trovato una soluzione per rimediare a ciò che potevamo evitare, e saremo fieri di aver indovinato proprio quella giusta per avere capra e cavoli. Anzi no, scusate, api efficientissime e industruttibili e distese infinite di monoculture avvelenate.
Per fortuna sono gli stessi ricercatori di Harvard che hanno lavorato su questi robot a dichiarare che si tratta di una “stop-gap measure”, ovvero di una misura provvisoria, che non risolve i CCD ma che può regalare un po’ di tempo in più a tutti quegli sforzi volti a restaurare l’equilibrio dell’ecosistema e a ripristinare le colonie di impollinatrici naturali. Anche se, su questo punto, il dubbio rimane, perché sappiamo bene che raramente le soluzioni di questo tipo sono “provvisorie”, anzi.
Avete per caso visto il film More than honey di Markus Imhoof? Quando ho assistito alla proiezione qualche tempo fa ho pensato che, se conoscessimo un po’ più a fondo l’affascinante società di questi insetti amici dei nostri orti, dei nostri campi, dei nostri fiori e quindi anche delle nostre riserve alimentari, agiremmo con maggior coscienza e determinazione, impegnandoci in azioni di advocacy a livello globale, ma anche intraprendendo piccole iniziative personali per sostenere le api. Quali? Ad esempio piantare in giardini, aiuole e vasi su balconi e davanzali qualche fiore in più, di quelli buoni per noi e golosi per loro. E qui trovate i suggerimenti giusti.
E poi, forse anche voi come me, di api in metallo vorreste continuare a vedere solo queste: opere di creatività per il gusto della bellezza, che lasciano fare alle api vere lo spettacolare e miracoloso lavoro che hanno sempre fatto. Con una domanda sempre ben presente in mente, che è poi la domanda con cui si chiude il video di Greenpeace, quella che sterza violentemente rispetto alla direzione delle inquadrature che precedono: dovremmo creare un mondo nuovo o piuttosto salvare il nostro?
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