Albert Lopez è nato a Barcellona 55 anni fa. Per oltre metà della sua vita, 30 anni, ha lavorato come addestratore di delfini e altri cetacei in zoo e parchi acquatici a Barcellona. È stato anche in Italia, tra il 2004 e il 2007, all’Oltremare di Riccione (dove era capo addestratore) e all’acquario di Genova. Poi la svolta. «All’inizio e per molti anni ho creduto di poter cambiare i luoghi dove ho lavorato dall’interno – racconta Lopez a Corriere.it - Poi ti rendi conto che non è possibile, magari riesci a far vivere meglio i delfini, a migliorare le loro condizioni ma il problema principale resta: questi animali sono prigionieri. E soffrono enormemente. Per questo ho smesso di fare questo lavoro».
Rumore, solitudine, stress
La missione di Lopez adesso è quella di salvare i delfini. Collabora con SOSdelfines ed è stato ospitato in questi giorni in Italia dalla Lav per la campagna «Questo spettacolo non deve andare avanti» che chiede una legge che porti, progressivamente, alla chiusura di delfinari e altre strutture simili e la creazione di un parco naturale dove ospitare gli animali adesso presenti in questi luoghi. «Quando vediamo un uccello in gabbia – dice Lopez – ci è chiaro che si tratta di un animale privato della sua libertà. Vediamo le sbarre. Ma per i cetacei che vivono in acqua ci sembra diverso. Non pensiamo che anche la vasca, come una gabbia, è un luogo di reclusione. Invece lo è». Lopez spiega che, anche se non tutti i delfinari e parchi acquatici sono uguali («alcuni sono migliori, altri peggiori, altri sono dei luoghi terribili») i problemi per i delfini restano di base gli stessi: lo stress per il rumore, la solitudine, la deprivazione del cibo per l’allenamento, il «condizionamento» necessario per farli diventare i protagonisti degli show. «Nelle vasche i suoni rimbalzano, amplificati dall’acqua e dalle pareti, inoltre ci sono i
rumori dei motori e le voci delle persone. I delfini hanno un udito molto sensibile e tutto questo per loro è un caos incredibile. Normalmente hanno una socialità molto alta e comunicano tra di loro. Nelle vasche tutto questo è annullato. Tutto è innaturale: ad esempio normalmente i delfini si nutrono di pesce vivo, invece in queste strutture mangiano animali già morti».
L’addestramento
Per quanto riguarda l’addestramento Lopez sottolinea che «quasi mai» («anche se può accadere in alcuni posti») si tratta di addestramento violento. «Se sei un bravo addestratore usi il rinforzo positivo, che premia il delfino se fa quello che vuoi – spiega –Però se il delfino non ha voglia il metodo per costringerlo è quello di togliergli il cibo e a volte anche di isolarlo».
«Luoghi innaturali, sono delle prigioni»
Secondo la regolamentazione europea (Direttiva 1999/22/CE) i delfinari sono equiparati ai «giardini zoologici» e come tali sono tenuti per legge a svolgere determinate attività di ricerca e informazione per il pubblico sulla vita dei delfini e altre attività di sensibilizzazione. «Ma non si può avvicinare le persone alle tematiche ambientali, non si può fargli conoscere questi animali, usando dei delfini che vivono senza libertà – sottolinea Lopez - È una contraddizione insanabile. E infatti questi luoghi esistono per fare soldi. Questa mentalità esisteva 30 anni fa ed è la stessa oggi. Niente è cambiato. Nei delfinari come negli zoo non vediamo niente di
reale, ma solo delle caricature di questi animali. Per ogni animale che tu vedi in uno zoo o in un parco acquatico in media 10 esemplari sono morti per lo stress, per la cattura, il trasloco, l’adattamento. Che senso ha?». «Noi pensiamo che gli animali siano al nostro servizio – conclude Lopez – ma non è così. Anche noi siamo animali ma crediamo di poter imprigionare la natura solo per il business. Però abbiamo anche il potere di dire basta, dipende da noi».
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