Le centrali a biomasse sono davvero eco? Pro e contro

Categoria: Energia Tag: Tecnologia

Tuttavia, tanto è ancora lo scetticismo nei loro confronti, con la nascita di comitati locali ogni qualvolta si presenta l’opportunità di una loro realizzazione. Così come avviene per altre impianti che sfruttano fonti energetiche rinnovabili anche più conosciute, come eolico o solare. Alla diffidenza generale, bisogna poi aggiungere il mero calcolo politico, per opera di amministrazioni locali che, per scopi soprattutto di consenso, si elevano a paladini del territorio.

Ma visto che ogni dibattito va affrontato partendo dalla conoscenza su quanto si discute, meglio descrivere cosa sia una centrale a Biomassa. Per capire come funziona e se è giusto essere diffidenti nei suoi confronti.

Partiamo dal conoscere cosa significa biomassa. Essa è la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese pesca e acquacoltura, gli sfalci e potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. Da ciò si evince che in essa sono inglobati anche materiali che con ciò che possiamo definire ‘bio’ hanno davvero poco a che vedere. Di qui la prima base a sostegno dei suoi detrattori.

Cos’è invece una centrale a biomassa?

Si tratta di una centrale elettrica che utilizza l’energia rinnovabile ricavabile dalle biomasse estraendola attraverso diverse tecniche: l’energia può essere ottenuta sia per combustione diretta delle biomasse, mediante particolari procedimenti tendenti a migliorare l’efficienza, sia mediante pirolisi, sia mediante estrazione di gas di sintesi (syngas) tramite gassificazione.

Storicamente, l’energia sprigionata dalla biomassa è stata utilizzata fin dalla notte dei tempi. Prima dell’uso delle energie fossili in quantità significative, è stata la biomassa, in forma di legna da ardere, che ha fornito infatti all’umanità buona parte dell’energia necessaria al proprio sostentamento. Solo quando l’umanità ha scoperto la comodità d’uso del carbone e di altre fonti fossili, queste hanno potuto dare un contributo fondamentale all’evoluzione e allo sviluppo umano, relegando l’energia da biomasse a un ruolo più marginale.

Pertanto, siamo arrivati al punto attuale, nel quale i combustibili fossili hanno il compito di assicurare una quota pari circa l’85% di tutta l’energia utilizzata sul pianeta Terra. Tuttavia, l’interesse per l’energia da biomasse è stato risvegliato dai problemi di sostenibilità ambientale ed economica legati alla quantità dei giacimenti di combustibili fossili disponibili (come giacimenti di petrolio, di altri idrocarburi, di carbone) e dai problemi di instabilità geopolitica derivanti dalla loro disomogenea distribuzione sul pianeta.

Le criticità delle centrali a biomassa:

Fatto un excursus scientifico e storico sulle biomasse, veniamo alle perplessità che questo tipo di impianti suscita. La domanda principale è questa: quale biomassa ci troveremo a gestire sui nostri territori? Esiste la biomassa legnosa, data da alberi, colture dedicate o residui delle lavorazioni agricole; materiale sostenibile e realmente bio. Poi però c’è un altro tipo di biomassa, definita tale per decreto ministeriale. Infatti diventa comparata alla biomassa anche il Css (combustibile solido secondario); per decreto, infatti, tale prodotto derivato dai rifiuti diventa “End Of Waste“, cioè fuori dall’elenco dei rifiuti, quindi gestibile come una biomassa combustibile!

Parlare di Css, significa fare riferimento a prodotti a matrice plastica, lavorati e miniaturizzati, ma sempre di origine plastica. Se daremo sviluppo ulteriore alla combustione di tali “biomasse per decreto”, ci ritroveremo piccoli inceneritori sparsi sul territorio. È pur vero che, allo stato attuale delle normative vigenti, il Css deve essere convogliato in grandi strutture, però le normative si cambiano facilmente; ne sanno qualcosa gli operatori del fotovoltaico, che si sono visti cambiare le regole ben cinque volte (cinque conti energia) in soli due anni e mezzo!

Ma anche la stessa biomassa derivante da legna trova i suoi detrattori. Esistono infatti due correnti di pensiero: da una parte coloro che sostengono la bontà di questi impianti, asserendo che la nuova tipologia di macchinari permette di controllare quasi totalmente le emissioni e di considerare pari a zero il bilancio di CO2 emessa, rispetto a quella incamerata dal legno che si brucia. Dall’altra parte i sostenitori della teoria che, ogni processo di combustione implica l’emissione di Cov (composti organici volatili), di diossine, di metalli pesanti che sono comunque contenuti nel legno e di particolato ultrasottile (nanopolveri), che sono la fonte di maggiori pericoli per gli esseri viventi, in quanto talmente piccoli da legarsi alle molecole, generando forme tumorali.

 

Una centrale che utilizza un processo di combustione, inevitabilmente immette nell’aria particolati pericolosi e CO2; si tratta di capire, però, se la realizzazione di una centrale a servizio pubblico, può far chiudere altre fonti di emissioni, la cui somma è superiore a quella emessa dalla centrale stessa. In questo caso si potrebbe sostenere che la centrale ha un senso di sostenibilità. Diversamente, si aggiunge alla situazione esistente, aggravandola e, quindi, non è compatibile con l’ecosistema che ospita.

La verità, quindi, sta nel mezzo delle due visioni. E dipende in buona sostanza dal singolo impianto, dal materiale che viene utilizzato e dai processi e da quanto corta è la filiera: tanto più è corta, tanto migliore il profilo della convenianza economica ed ambientale.

I vantaggi di una centrale a biomassa:

Certo, un impianto a biomasse è attraente perché comporta diversi vantaggi rispetto ad altre fonti rinnovabili:

1) Stoccaggio dell’energia: il risultato può essere agevolmente raggiunto mediante il semplice stoccaggio del combustibile, in maniera analoga a quanto avviene con i combustibili fossili.

2) Continuità di erogazione: l’energia da biomasse è regolabile a piacimento e può essere interrotta in ogni momento, al pari delle energie da fonti fossili.

3) Semplicità tecnologica e riduzione dei costi: rispetto ad altri impianti a energie rinnovabili (idroelettrico, solare termico, impianto fotovoltaico, eolico, geotermoelettrico), le centrali a biomasse necessitano di tecnologie poco sofisticate e di più agevole reperibilità, accessibili anche a paesi a basso sviluppo tecnologico.

4) Investimenti minori: la messa in opera di impianti di tale tipo, anche per il punto 3, richiede investimenti di dimensioni piuttosto ridotte rispetto ad altri delle fonti rinnovabili citate.

Centrale a biomassa, un caso (critico) emblematico:

Dopo la parte diciamo teorica, veniamo a quella pratica, con un caso concreto. Quello del comune di Cembra, nel Trentino, allocato in una bellissima valle dedita alla coltura di viti pregiate. Qui l’amministrazione comunale, ha investito circa 2 milioni di euro per la realizzazione di una centrale a biomasse. Essa brucerebbe legna del luogo, producendo acqua calda destinata al riscaldamento di alcuni siti del comune, ma anche e soprattutto energia elettrica da vendere alla rete, incassando quindi gli incentivi.

Tutto bello quindi? Non proprio. Il Gse non ha ancora autorizzato la centrale a produrre energia elettrica, quindi da diversi mesi i macchinari, per questa parte di produzione, sono fermi; in estate, dove manderanno l’energia termica, se non v’è nulla da riscaldare e la centrale è sovradimensionata? Inoltre, v’è molta preoccupazione nella popolazione locale, poiché l’amministrazione locale ha improvvidamente dichiarato che dal camino uscirà solo vapore acqueo.

Morale della favola: la magistratura indagherà sugli investimenti, dietro un esposto relativi ai dubbi sulla loro reale utilità.

In conclusione, per rendere realmente utile alla produzione di energia pulita una centrale a biomasse, il legislatore, oltre a concedere incentivi, dovrebbe anche chiarire cosa ci possa finire dentro. Perché norme troppo vaghe sono altamente pericolose per la comunità, visto che, come detto, lì dentro ci finirebbero pure materiali che di bio non hanno proprio niente.

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