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Senegal, senza terra non c'è vita

Categoria: Diritti Umani Tag:

La crescita dei prezzi dei prodotti alimentari del 2007-2008 ha provocato un cambio di tendenza degli investimenti nel settore agricolo. Il numero di progetti per realizzare coltivazioni nei Paesi in via di sviluppo sono aumentati in maniera esponenziale, coinvolgendo anche aziende italiane. Una di queste, la Tampieri Financial Group Spa, una grande holding familiare con sede a Ravenna e produttrice di olio alimentare ed energia rinnovabile da biomasse, sta investendo dal 2011 nel nord del Senegal attraverso la sua controllata Senhuile SA per realizzare coltivazioni agroalimentari.

Il progetto è però fortemente criticato, perché è stata chiaramente riscontrata una violazione del rispetto dei diritti nei riguardi delle comunità locali.

Nel 2010 la Senéthanol ‑ successivamente la Senhuile SA ‑ ha avviato una coltivazione su una superficie di 20.000 ettari ottenuta in concessione dal Consiglio Rurale di Fanaye (nel Nord del Paese), incontrando però la resistenza delle comunità locali che contestavano la legittimità della concessione e denunciavano i rischi per la sicurezza alimentare delle popolazioni locali derivanti da questo tipo di investimento. Nell’ottobre del 2011, durante una manifestazione delle popolazioni che si opponevano all’investimento, due persone rimasero uccise. A seguito di questi tragici eventi, i rappresentati del Collettivo di difesa per la terra di Fanaye incontrarono l’allora Presidente Abdoulaye Wade, ottenendo l’annullamento del progetto.

Tuttavia, nel marzo 2012, lo stesso Wade ritornò sui suoi passi varando due decreti: il primo rimuoveva i vincoli ambientali esistenti sui 26.550 ettari della riserva dello Ndiaël, non molto distante da Fanaye; il secondo dava in concessione 20.000 ettari di questa terra per 50 anni alla Senhuile-Senéthanol per la realizzazione di un progetto agro-industriale che prevedeva inizialmente la coltivazione di semi di girasole.

L’area interessata si trova nella riserva naturale dello Ndiaël, dove da anni oltre 9.000 persone, appartenenti ai 37 villaggi ubicati intorno al progetto, avevano il diritto d’accesso e di uso della terra per il pascolo e per la raccolta di prodotti naturali spontanei e di legname, importanti fonti di sostentamento per le popolazioni locali.

A causa dell’avvio delle operazioni di disboscamento per poter procedere alla coltivazione dei terreni gli allevatori si trovano privati dell’accesso ai pascoli, perché l’area è sorvegliata da guardie di sicurezza. Pertanto sono costretti ad allungare enormemente i tempi di approvvigionamento di legna e acqua, perché devono arginare i terreni sequestrati e recintati da filo spinato. Inoltre, le operazioni di pulizia dei terreni hanno causato la profanazione di spazi sacri e cimiteri! La presenza dell’impresa, a causa dell’opposizione da parte delle popolazioni locali, provoca continue tensioni e una preoccupante conflittualità sociale nell’area.

Un investimento che va fermato!

Questo progetto rappresenta una minaccia per le popolazioni che vivono in quei territori. Le modalità stesse con le quali l’investimento è stato realizzato, la mancanza di uno studio di impatto preliminare, le decisioni assunte senza la consultazione e l’approvazione delle persone più direttamente colpite, i rischi per il diritto al cibo, all’acqua e all’accesso alle altre risorse naturali fanno di questo investimento un caso emblematico di accaparramento di terre (land grabbing).

I rappresentanti dei 37 villaggi che si oppongono all’investimento chiedono che tutto questo venga immediatamente fermato!

Noi di ActionAid siamo al fianco della comunità di Ndiaël! Per questo abbiamo lanciato un appello urgente per chiedere la chiusura del progetto.

Firma anche tu! Aiutaci a salvare il futuro di 9.000 persone!

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