Mandorle: buone per noi, meno per l’ecosistema

È di recente pubblicazione uno studio che va ad integrare il già corposo archivio di prove scientifiche che dimostrano quanto il consumo di mandorle apporti al nostro sistema cardiovascolare notevoli benefici. Assunto giornalmente anche in piccole dosi, questo piccolo seme ha il potere di ridurre del 3,5% il rischio di malattie cardiache nei successivi 10 anni. Già utilizzate nelle diete come alimento utile per la perdita di peso e per il senso di sazietà che inducono, esse influiscono sulla prevenzione del diabete, su un potenziale miglioramento dell’artrite e sull’arresto della crescita delle cellule cancerogene, senza contare che contribuiscono alla riduzione del rischio di Alzheimer. Potremmo tranquillamente affermare che le mandorle siano, a livello nutrizionale, il migliore e più completo cibo che una persona possa mangiare.

Negli Stati Uniti le mandorle hanno recentemente ottenuto il titolo, prima detenuto dalle arachidi, di “seme più mangiato” e i numeri ci dicono che le mandorle vengono oggi consumate 10 volte in più rispetto al 1965, oltre che per le proprietà di cui sopra anche per una crescente avversione verso le proteine della carne, il latte e i derivati della soia.

Gli utlimi risultati della ricerca, condotta dalla squadra del direttore del Dipartimento di Scienze della Nutrizione dell’Università di Toronto David Jenkins, suggerisce che, in aggiunta agli idilliaci grassi monoinsaturi, i benefici cardiaci potrebbero essere dovuti a vitamina E, fibre, antiossidanti fitochimici (fenoli, flavonoidi, proantocianidina e fitosteroli) e arginina, che costituiscono solo una parte della lunga lista delle virtù della mandorla. Sono dati che integrano un’importante studio realizzato lo scorso autunno dall’Università di Harvard, che ha rilevato che, più in generale, il consumo di “nuts” diminuiva del 20%  i rischi di mortalità.

Il lato oscuro di questo trend scientificamente supportato che induce gli americani, ma certo non soltanto loro, a inserire con fervore le mandorle all’interno delle proprie diete non è purtroppo altrettanto evidente quanto lo sono i benefici di questo seme. Parliamo di Stati Uniti, ma l’Italia non se la passa certo meglio se consideriamo la difficoltà del nostro mercato a reagire di fronte al boom di questo prodotto, con inevitabili ripercussioni sull’agricoltura nazionale, sull’industria dolciaria e su quei prodotti tipici della nostra cucina che contribuiscono a renderla apprezzata nel mondo, dal cantuccino toscano alla pasta di mandorle. Il dato sconcertante si chiama però California, dove coltivazioni intensive permettono di controllare “il 55,7% della produzione mondiale per quantità, il 58,9% in valore”. L’82% delle mandorle mondiali proviene da qui, quota determinante di un mercato che costituisce un’industria multimiliardaria in un territorio che, fiscalmente, non è certo dei più severi. Oggi lo sfruttamento dei terreni per la coltivazione di mandorle è del 44% superiore a quello di 10 anni fa, un aumento rapido e vertiginoso che, se da un lato viene appoggiato e anzi incoraggiato dalle industrie produttrici e dal Dipartimento per l’Agricoltura nel tentativo di di massimizzare la produzione nonostante i recenti e gravi periodi di siccità che hanno interessato la California, dall’altro non può non sollevare numerose preoccupazioni dal punto di vista degli equilibri ecologici. Parliamo ad esempio dei rischi corsi da migliaia di salmoni che, nel nord del Paese, subiscono la minaccia di una malattia che provoca la decomposizione delle branchie (gill rot) dovuta a livelli molto bassi di acqua, perché convogliata dal fiume verso le fattorie per “dissetare” le mandorle (ca. 3,7 litri per ogni mandorla). Inutile dire che queste dinamiche provocano significativi aumenti dei prezzi delle mandorle, che in Inghilterra, ad esempio, sono duplicati nel corso degli ultimi 5 anni e che valgono letteralmente quanto l’oro (non è rara la segnalazione di furti e “misteriose” scomparse di container che, pieni di mandorle, superano il valore di 160 mila dollari).

Purtroppo i rischi connessi alle coltivazioni intensive di mandorle non riguardano solo i salmoni: le conseguenze riguardano anche le infrastrutture e si riversano letteralmente nelle strade che, a causa dell’irrigazione intensiva di cui necessitano i campi di mandorli, sono soggette a cedimenti improvvisi a causa di un terreno troppo impregnato d’acqua. Per non parlare delle api, sulle quali i coltivatori fanno completo affidamento per l’impollinazione dei mandorli: un’industria che richiede quasi 1 milione e mezzo di colonie, la maggior parte delle quali importate da altri Paesi ma che, a causa del colony collapse disorder (la sparizione improvvisa di colonie di api operaie dovuta a molteplici fattori tra cui l’uso indiscriminato di pesticidi), rendono le api una commodity.

Ma le mandorle “fanno bene”, e quando si acquistano al supermercato i pensieri che ronzano in testa hanno a che fare con le ragioni per cui migliorano la nostra salute, con quello che abbiamo voglia di mangiare e con quanto queste voglie ci costino. Quasi nessuno pensa ai salmoni e alle strade, ai furti e alle api quando compra questi “semi di benessere”: e il punto è proprio questo. Se alla fine del secolo i numeri ci dicono che saremo 10 miliardi su questo pianeta e che nutrirlo sarà la sfida che l’umanità dovrà affrontare, probabilmente anche acquistare un semplice pugno di mandorle ci dovrebbe portare a pensare che parlare di benefici nutrizionali come se fosse un argomento a sé stante è pressoché impossibile. Volenti o nolenti siamo parte di un circuito molto più ampio che implica, come di frequente, la necessità di una maggiore consapevolezza ambientale e della sostenibilità delle nostre abitudini.

Commenti

Aggiungi un commento

Plain text

  • Nessun tag HTML consentito.
  • Indirizzi web o e-mail vengono trasformati in link automaticamente
  • Linee e paragrafi vanno a capo automaticamente.
CAPTCHA
Dimostraci che non sei una macchina :-)
Image CAPTCHA
Enter the characters shown in the image.