Diritti Umani

3 milioni di firme contro il TTIP

Accordo TPP - Ambiente e clima in svendita?

Stiamo dalla parte giusta. Con l’Europa dei popoli

3 milioni di firme contro il TTIP

Dal 10 al 17 ottobre, forti dei 3 milioni di firme raccolte in tutto il continente, centinaia di migliaia di persone scenderanno in piazza per chiedere linterruzione dei negoziati sul TTIP e gli altri accordi di libero scambio.

Accordo TPP - Ambiente e clima in svendita?
Stiamo dalla parte giusta. Con l’Europa dei popoli

Si tratta di un negoziato cui prendono parte i paesi che hanno i mercati del settore servizi più grandi del mondo: Usa; Australia, Nuova Zelanda, Canada, i 28 paesi dell’Unione Europea, più altri 18 Stati, che complessivamente producono il 70 % del prodotto interno lordo globale.

La decima edizione del Living Planet Report (edizione 2014), il report che il WWF rilascia in forma aggiornata ogni 2 anni, mostra come l’impronta ecologica (la misura del consumo di natura causato dall’uomo) sia in continua crescita e la biodiversità in costante calo: numerose specie di animali vertebrati (quali mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) in soli 40 anni si sono più che dimezzate numericamente,

L'acceso dibattito sugli ogm (vedi gli interventi su Repubblica di Vandana Shiva, Elena Cattaneo, Carlo Petrini,

1.100 eventi in 22 Paesi, e oltre 50 città mobilitate in tutta Italia: dalla Valtellina a Monopoli, poi Firenze, Torino, Roma, Napoli e Milano, dove membri del parlamento europeo, di quelli di molti Paesi asiatici, insieme ad un centinaio di attivisti, sindacalisti, contadini e cittadini che partecipavano al Forum dei Popoli di Asia ed Europa hanno dato vita ad un flash mob di protesta.

Nell’ultimo volume di State of the World, il report annuale pubblicato dal Worldwatch Institute, vengono esaminate, attraverso gli articoli di diversi autori, sia le barriere economiche e politiche che le difficoltà di diffondere nuove idee per una legislazione climatica e per l’energia pulita in grado di rispondere concretamente alle esigenze delle persone e alla salvaguardia dei beni comuni.

«Mi fa molto piacere sapere che si rifletta e si parli sul il futuro del cibo sia oggetto di pensiero e di discussione, nelle aziende agricole, dentro le case, in televisione, online e nei giornali, specialmente nei giornali rinomati come The New Yorker. Da moltissimo tempo The New Yorker ha dato molta importanza alla qualità dei propri articoli, nonché al livello dei propri lettori. La sfida di riuscire a sfamare una popolazione in perenne aumento nonostante i continui ostacoli creati dal Cambiamento Climatico è una questione di primaria importanza.

La Svizzera è stata occupata: il padiglione elvetico ad Expo, che sarà probabilmente tra i più visitati, dato che sorgerà accanto al Padiglione Italia, è una vetrina per Nestlé, che metterà in mostra, e distribuirà, 2,5 milioni di dosi di caffè e 150mila bottigliette d'acqua.

Le conseguenze le conosciamo: mina l’equilibrio tra utilizzo umano del suolo e ambiente, spinge alle migrazioni aggravando affollamento urbano e povertà, erode culture ed economie locali e, quando la terra viene destinata a coltivazioni per l’esportazione o biocarburanti, minaccia la sicurezza alimentare di chi quelle terre le vive. Ma di che cosa parliamo esattamente? Qual è l’incidenza? Approfittiamo di una bella ricerca a cura del quotidiano Avvenire per darvi qualche numero e inquadrare meglio la dimensione del problema.

Dal testo dell’economista francese Thomas Piketty (Le capital au XXIe siècle) a quello più recente dell’indiano Sharit K. Bhowmik (The state of labor. The global financial cri­sis), diversi libri negli ultimi anni hanno con­siderato le disuguaglianze affermatesi con il neoliberismo la principale causa della crisi. L’argomento scatena spesso precisa­zioni e polemiche, ma se può essere per certi versi controverso considerare le dise­guaglianze la principale causa dell’attuale crisi, non si può negare che con quest’ultima le diseguaglianze aumentino.

Che la ricchezza non basti a misurare il benessere non è una novità, né lo sono vari tentativi, nel mondo, di sostituire il Pil con altre misurazioni, come quella della "felicità" scelta dal Buthan. Ma ora è la Cina a muoversi, con oltre 70 città e distretti che hanno abbandonato il Prodotto interno lordo come misura della performance locale. I vertici del partito l'hanno stabilito alla fine dell'anno scorso e il premier Xi Jinping l'ha ribadito in giugno: "Non possiamo più usare il semplice Pil per decidere chi sono i più bravi".

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