Non il capitale, ma la democrazia è la questione principale del XXI° secolo. Joseph Stiglitz

Nel suo ultimo articolo su the Project Syndicate, il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz riprende il dibattito accademico sulla disuguaglianza sociale in occidente esploso dopo la pubblicazione del recente libro di Thomas Piketty Capital in the Twenty-First Century. Secondo Stiglitz, in particolare, il bestseller economico dell’anno solleva questioni fondamentali sul futuro del capitalismo. Seconda la teoria standard, gli aumenti del rapporto ricchezza/output sarebbero associati a un calo del rendimento di capitale e a un aumento dei salari, ma oggi il rendimento del capitale non sembra essere diminuito rispetto ad una riduzione dei salari (Negli Usa, ad esempio, i salari medi sono stagnanti da quattro decenni).

La spiegazione più ovvia, prosegue il Premio Nobel per l’economia, è che l’aumento della ricchezza misurata non corrisponde più a un aumento del capitale produttivo. Gran parte dell’aumento della ricchezza nella società occidentale è derivata da un incremento del valore degli immobili: prima della crisi finanziaria del 2008 si era manifestata in molti Paesi una bolla immobiliare e la “correzione” non potrebbe essere stata completa.

Stiglitz spiega quello che è avvenuto a livello economico in questo modo: se aumenta il potere del monopolio, o se le aziende (come le banche) sviluppano migliori metodi di sfruttamento dei comuni consumatori, questo scenario si tradurrà in un aumento dei profitti e, se capitalizzati, in un incremento della ricchezza finanziaria. Ma quando ciò accade, il benessere societario e l’efficienza economica si contraggono, anche quando aumenta la ricchezza misurata in modo ufficiale. È che non prendiamo in considerazione la corrispondente flessione del valore del capitale umano, vale a dire la ricchezza dei lavoratori.

Inoltre, prosegue il premio Nobel per l’economia, se le banche riescono a utilizzare la loro influenza politica per socializzare le perdite e continuare a conservare i profitti guadagnati disonestamente, la ricchezza misurata del settore finanziario aumenta. Non misuriamo la corrispondente diminuzione della ricchezza dei contribuenti. E allo stesso modo, se le società convincono il governo a pagare più del dovuto i loro prodotti (come è successo con le maggiori aziende farmaceutiche), oppure hanno accesso alle risorse pubbliche a prezzi inferiori al valore di mercato (come nel caso delle società minerarie), alla fine riportano un rialzo della ricchezza finanziaria, sebbene il decremento della ricchezza dei comuni cittadini non registri alcun incremento.

Quanto osservato economicamente nella società occidentale – stagnazione dei salari e aumento della disuguaglianza, anche a fronte di un incremento della ricchezza – non riflette il funzionamento di una normale economia di mercato, ma di ciò che Stiglitz definisce “ersatz capitalism” o “capitalismo surrogato”. Il problema non è tanto come i mercati dovrebbero o debbano funzionare, ma il problema è il nostro sistema politico che non è riuscito a garantire la competitività dei mercati e ha creato regole per sostenere mercati distorti in cui i ricchi possono sfruttare tutto il sistema.

Elevati livelli di disuguaglianza economica in Paesi come gli Stati Uniti e in quelli che hanno seguito il loro modello economico, conducono inevitabilmente a una disuguaglianza politica. In un sistema di questo tipo, anche le opportunità per il progresso economico diventano inique, rinforzando i bassi livelli di mobilità sociale. Se si usano correttamente le regole del gioco, potremmo essere in grado di rilanciare la crescita economica in modo rapido e condiviso che ha caratterizzato le società del ceto medio nella metà del XX secolo. La questione principale che dobbiamo affrontare oggi nel XXI secolo non è il capitale, ma, conclude Stiglitz, la democrazia.

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