Siccità e sfruttamento idrico, così una parte d'America rischia di rimanere senz'acqua

SEMBRA sia stata dipinta sulle pareti di roccia con milioni di barattoli di vernice. La banda bianca corre come un fregio parallela alla superficie del lago Mead. Gli americani la chiamano "bathtub ring", come il segno di sporco e schiuma che lascia l'acqua di una vasca da bagno svuotata. E come una vasca da bagno, il Mead si sta svuotando davvero: il segno pallido indica il punto più alto toccato nell'anno di massima piena. Era il 1983. Ora quella banda, residuo del deposito di minerali è alta più di 30 metri e alla base continuerà a emergere e allargarsi, perché la vasca è destinata a svuotarsi ancora.

Nei primi giorni di agosto del 2014 il livello del lago Mead, il bacino idrico più grande degli Stati Uniti al confine tra Arizona e Nevada, è sceso al più basso mai registrato da quando, nel 1935, fu terminata la Hoover dam (la diga intitolata al presidente Hoover) e il fiume Colorado iniziò a riempirla. La "vasca" ora è piena appena per il 39% e ogni giorno si registra un nuovo record negativo. Il primo agosto la sua superficie toccava quota 1080 piedi (329 metri) sul livello del mare. Mai così in basso dal maggio del 1936 quando non era ancora conclusa la fase di riempimento. Il pelo dell'acqua si sta avvicinando pericolosamente alla quota della prima conduttura di prelievo che si trova a 1050 piedi (meno di dieci metri sotto) che a breve potrebbe risucchiare solo aria. Nel 2005, la Southern Nevada Water Authority ha approvato la costruzione di una terza bocca a una quota ancora inferiore alla prima e alla seconda (a 1.000 piedi) a quota 860. L'appalto per i lavori è stato vinto dalla S. A. Healy, del gruppo italiano Salini Impregilo, per una commessa di quasi 450 milioni di dollari.

14 anni di siccità. I dati forniti dallo Us drought monitor e dal climate prediction center del centro meteo nazionale dicono che il 2013 ha segnato il record in California come anno più arido di sempre. A gennaio il governatore Edmund G. Brown Jr. ha dichiarato lo stato di emergenza e l'autorità idrica ha tagliato se non, in alcuni casi, sospeso la fornitura di acqua ad agricoltori e allevatori ma anche ai privati. Mentre nei primi sei mesi del 2014 la temperatura media è stata la più alta mai registrata. Rimangono "eccezionali" le condizioni di siccità in California e parte del Nevada. Le previsioni restano allarmanti almeno fino a ottobre in California, Nevada e parte dell'Arizona.

Il far West ha la gola secca, quindi. Da 14 anni la siccità che sembra non avere precedenti nella storia dell'America sudoccidentale almeno nell'ultimo secolo, sta lentamente prosciugando le pur immense risorse idriche. Quelle create e immagazzinate dall'uomo ma anche quelle del sottosuolo.

Sulle rive irrequiete del lago Mead, i proprietari delle barche ormeggiate sono stati più volte costretti a spostare i moli in cerca di zone più profonde per evitare di insabbiarsi. Le passerelle si allungano sulla superficie come dita che tentano di afferrare l'orlo di una veste che via via si ritira, lasciandosi dietro un fondale asciutto e crepato e scoprendo nuove isole. Succede questo nella più grande riserva d'acqua degli Usa e una delle prime mete turistiche del paese con oltre un milione di arrivi ogni anno.

Il problema dei diportisti tra le mura del bacino, però, è nulla in confronto a quello che accade attorno. Il malato non è solo il lago ma innanzitutto il fiume che lo crea. Il Colorado sorge dalle Montagne rocciose nell'omonimo stato del Midwest. Il suo corso principale, lungo circa 2.300 chilometri, incontra una quindicina di dighe (altre diverse decine sono state costruite sui suoi affluenti), create, nel corso dell'ultimo secolo, per offrire risorse idriche ed energia a tutto il sudovest degli Stati Uniti. Prima di incunearsi nei meandri del Grand Canyon e poi formare il Mead, il fiume riempie il lunghissimo lago Powell, creato dopo la costruzione della diga del Glen Canyon nel 1966. Entrambi si stanno asciugando. Le immagini fornite dai satelliti Landsat nel corso degli ultimi 40 anni, ma soprattutto durante quelli dell'attuale siccità, non hanno bisogno di parole. Quello che si vede dall'alto è inquietante, soprattutto per il protrarsi della crisi idrica che sembra non avere fine. Uno studio dello Scripps, nel 2008, calcolava una probabilità del 50% che si potesse asciugare totalmente nel 2021 e che smettesse di produrre energia entro il 2017.

Acqua perduta. Il lago Mead ha un bilancio in passivo costante. Il lago Powell ogni anno rilascia circa 11 milioni di chilometri cubi di acqua al Mead che, a sua volta, li distribuisce tutti per far fronte alle esigenze di California, Arizona, Nevada e Messico. Tra le perdite, gli usi collaterali di rete e l'evaporazione, si ha però uno sbilanciamento di quasi 1,5 km cubi. Che il grande lago perde e il "dio della pioggia" non gli vuole restituire. Come se non bastasse, lo scorso anno il Bureau of Reclamation (l'autorità preposta allo sfruttamento delle risorse idriche nell'ovest) ha tagliato l'afflusso da monte a valle di quasi un chilometro cubo.

Ma la verità che si nascondeva sotto alle montagne, ai canyon, ai laghi e alla scacchiera regolare delle zone coltivate, disegna uno scenario più fosco delle peggiori previsioni. Uno studio Nasa di fine luglio ha lanciato un altro, serio allarme, che riguarda questa volta il sottosuolo. Secondo il report, pubblicato online sul Geophysical Research Letters, il Colorado è il fiume più sfruttato e, forse, saccheggiato del mondo. Nel corso di nove anni il suo bacino ha perso 65 chilometri cubi di acqua: 65.000.000.000.000 (sessantacinquemila miliardi) di litri. Quasi il doppio della capienza del lago Mead. E il 76% di questa massa perduta apparteneva alle acque di falda freatica, quella del sottosuolo. Le rilevazioni sono state effettuate senza spostare una sola pietra: i satelliti della missione Grace hanno misurato con estrema precisione l'attrazione gravitazionale esercitata da quella porzione di territorio. Una specie di bilancia in orbita che lavora a distanza. Se l'attrazione gravitazionale del bacino del Colorado diminuisce significa che c'è meno massa. Tradotto: meno acqua.

"È una grande quantità d'acqua perduta", è stato il commento di Stephanie Castle della University of California, Irvine, che ha coordinato lo studio. "Pensavamo che lo scenario sarebbe potuto essere piuttosto brutto, ma questo è scioccante". E sulle prospettive future nessuna buona notizia: "Non sappiamo con precisione quanta acqua sia rimasta nel sottosuolo. Quindi non sappiamo quando potremmo esaurirla".

Come l'Egitto e la Mesopotamia dovettero tutto rispettivamente al Nilo e ai due fiumi della mezzaluna fertile, il West americano almeno nell'ultimo secolo deve tantissimo al Colorado. Ma l'America ha chiesto molto al Grande fiume e ora si cerca di correre ai ripari. Il Colorado e i suoi affluenti forniscono acqua a quasi 40 milioni di persone in sette stati, da Colorado e Wyoming alla California fino al Messico, per le esigenze delle città (tra cui Los Angeles, Las Vegas, Phoenix e Tucson), per l'irrigazione di circa cinque milioni e mezzo di acri di terra (una superficie grande come l'intera Emilia Romagna), e a 22 tribù indiane riconosciute oltre a sette riserve di fauna selvatica e 11 parchi naturali. L'energia elettrica fornita dalle turbine delle sue dighe ammonta a oltre 4.200 megawatt.

Un errore storico. Nel 1922 l'accordo noto come Colorado River Compact stabilì le quote secondo cui i sette stati Usa il cui territorio comprende il bacino del fiume (il trattato con il Messico è invece del 1944) si sarebbero, da allora in poi, spartiti le sue acque per un totale (rimasto tale fino a oggi) di 18,5 chilometri cubi all'anno. Un calcolo basato sulle misurazioni fatte all'inizio del secolo, in un periodo particolarmente umido. Ne risultò che la media annuale di acqua disponibile fosse di oltre 20 chilometri cubi. Successivi studi, che si sono avvalsi anche dell'analisi dei cerchi degli alberi, hanno dimostrato che il flusso reale del Colorado si attesta a meno di 18 chilometri cubi misurati nell'arco degli ultimi cinque secoli.

Significa che Colorado, Wyoming, New Mexico e Utah dell'alto corso e Arizona, Nevada e California per il basso corso si sono spartiti più di quello che c'era. Oltre un quarto dell'acqua del Colorado è a disposizione della California (di gran lunga il più popoloso e più coltivato dei sette stati) poco meno (23,5%) al Colorado. Il "correntista" meno ricco di questo deposito è il Nevada, per la maggior parte desertico. L'uso agricolo infatti è quello prevalente nel sudovest degli Usa. Ma Las Vegas dipende comunque dal lago Mead per il 90% del suo fabbisogno. La "Sin city" è nata e cresciuta dal nulla, in mezzo al deserto, proprio grazie alla presenza del fiume e, negli ultimi 80 anni, grazie alla diga Hoover.

Il Colorado non basta più. Il puzzle della crisi idrica si compone di numerose tessere. Uno studio pubblicato nel 2012 dal Bureau of Reclamation ha dimostrato come dalla fine degli Anni 90 l'uso di acqua dal Colorado sia stata progressivamente maggiore della disponibilità effettiva. Con previsioni che da qui al 2060 portano a un allargamento preoccupante della forbice.

Quando l'acqua non piove dal cielo, bisogna cercarla sotto terra. Così la siccità impone inoltre a contadini e aziende agricole di pompare acqua dai pozzi locali con l'effetto di intaccare risorse in molti casi non rinnovabili. Succede non solo per le falde del Colorado: in California pochi mesi fa il terreno in alcuni punti ha cominciato a cedere a causa di fenomeni di subsidenza come nella San Joaquin Valley. E il sud della California potrebbe presto richiedere al lago Mead parte dell'acqua non utilizzata dal suo "conto". Il Mead infatti funziona un po' come una banca, ogni stato dispone di una quota di quei 18,5 chilometri cubi di acqua ogni anno che può utilizzare o lasciare in deposito e richiedere all'occorrenza. Ma il circolo vizioso di siccità-mancato flusso-richiesta di acqua sempre più pressante potrebbe portare presto il lago Mead sotto la soglia-limite di 1075 piedi sul livello del mare, una sorta di riserva obbligatoria. Mancano poco più di cinque piedi, circa un metro e mezzo, e in forza degli accordi siglati nel 2007, quando già si pensava a come affrontare una situazione critica, lo U. S. Bureau of Reclamation, che gestisce la "banca" del Mead, ridurrà progressivamente le quote disponibili sul conto di ciascuno stato aggravando ulteriormente l'emergenza.

Per evitarlo le diverse autorità del bacino hanno di recente firmato un programma condiviso per la riduzione della domanda di acqua e la conservazione dei bacini del lago Mead e Powell con un fondo di 11 milioni di dollari che, tuttavia, sembra ridotto rispetto alla dimensione del problema, sperando però in un effetto "leva". È mirato soprattutto all'innovazione delle attività agricole che costituiscono il 75% dell'utilizzo di acqua attraverso incentivi per nuovi impianti di irrigazione e riciclo. Ma anche a informare la popolazione sugli sprechi e ponendo divieti (con multe salate che arrivano anche a diverse centinaia di dollari) sull'uso improprio delle risorse. Per esempio usando pompe a casa per lavare l'auto o il marciapiede. Già da alcuni anni la città di Las Vegas (che è diventata un esempio virtuoso in questo settore) paga a metro quadro i proprietari di giardini che riconvertono a deserto il loro piccolo fazzoletto verde con terreno roccioso e piante grasse che "bevono" pochissimo.

Che si stia o meno chiudendo la stalla dopo che i buoi sono scappati, l'America ha chiesto e preso dal Colorado più di quello che era in grado di dare. Dalla costruzione della diga sul Glen canyon, era il 1963, le sue acque non arrivano più al delta sull'alto golfo della California, impaludandosi alcuni chilometri prima di raggiungere il mare. Con effetti disastrosi sulla sopravvivenza di flora e fauna locali. Nel 2012 Usa e Messico si sono accordati per creare un nuovo flusso e a maggio 2014 un "pulse" ha riportato la corrente dove non arrivava quasi più da mezzo secolo, facendo incontrare di nuovo il Colorado con l'oceano. Il programma consiste in una serie di flussi controllati, stagionali, nell'arco di cinque anni con l'obiettivo di ripristinare parte dell'ecosistema perduto. Sempre che dopo i prelievi a monte rimanga abbastanza acqua da restituire al grande fiume malato.

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