Gli esempi descritti mostrano in forma semplificata alcuni dei modi in cui la vita, agendo direttamente sui cicli globali di ricircolo degli elementi, agisce indirettamente anche sul clima, regolandolo.
Nessuno di questi esempi però colpisce l’immaginazione quanto il pianeta delle margherite, nel quale il controllo si deve al gioco continuo dei diversi tassi di crescita di due specie diverse.
Quando entrano in gioco più specie, infatti, si comprende subito quanto la complessità dei sistemi (cioè la biodiversità), possa introdurre importanti cicli di stabilizzazione di quell’ambiente in cui noi uomini viviamo così confortevolmente.
Una delle caratteristiche chimiche che si ritrovano sempre mediamente costanti in Gaia è il rapporto tra azoto e fosforo, due elementi fondamentali per la vita.
Negli oceani, il rapporto tra questi due elementi è sempre pari a 7 ed è pari a 7 anche nel plancton marino.
Sulla terraferma le cose si complicano un po’, tuttavia questa costante ricorre spesso (ad esempio, il rapporto tra le quantità raccomandate di questi elementi nella dieta umana è pari a 7) e si ritrova a livello di interi ecosistemi.
Sembra insomma che questo rapporto si possa considerare in qualche modo una caratteristica della vita.
E’ normale quindi chiedersi se la vita è stata plasmata dalle caratteristiche oceaniche, ovvero se la vita si è semplicemente adattata all’ambiente in cui si è evoluta, oppure se, in questo caso specifico, esiste una qualche relazione più stretta fra vita e ambiente tale per cui i rapporti di causa ed effetto si chiudono in un ciclo di retroazione omeostatico.
La parte da protagonista, in questa scena, è tenuta dai batteri fissatori dell’azoto.
Questi importantissimi batteri convertono l’azoto gassoso presente nell’atmosfera in una forma adatta alla vita. Senza la fissazione dell’azoto, sulla terraferma scarseggerebbe il nutrimento per i vegetali, infatti l’azoto è un componente importantissimo dei fertilizzanti usati in agricoltura.
I batteri fissatori dell’azoto riforniscono quindi l’oceano di questo elemento recuperandolo direttamente dall’atmosfera. Questa però è un’attività che ha un costo metabolico molto elevato, si può dire in un certo senso che questi batteri compiono un grosso sforzo fisico continuo.
Questo, si traduce nel fatto che i batteri azotofissatori possono proliferare solamente in condizioni di carenza di nutrienti disciolti, ovvero quando scarseggia azoto e quindi gli altri tipi di batteri si trovano in situazioni di carestia.
In particolare, si può dire che si ha carenza di azoto quando il suo rapporto con il fosforo è minore di 7.
In questo caso, i batteri fissatori dell’azoto lasceranno una progenie più numerosa di tutti gli altri in quanto più adatti ad un ambiente povero.
Avviene però che proliferando, elevano la quantità di azoto disponibile nell’oceano fino a quando questo rapporto non raggiunge o addirittura supera il valore di 7. A questo punto, tutti i batteri che non si devono sobbarcare la fatica della fissazione dell’azoto risultano più avvantaggiati degli azotofissatori e cominciano a proliferare al posto dei primi che, quindi, contribuiranno con una minore fornitura di azoto per l’oceano.
Se l’azoto dovesse ricominciare a scarseggiare, ovvero se il rapporto con il fosforo dovesse ritornare ad essere inferiore a 7, i batteri azotofissatori ritornerebbero ad essere avvantaggiati e ricomincerebbero a pompare questo elemento da quell’enorme serbatoio che ne è l’atmosfera.
Per completare il quadro bisognerebbe complicare la scena considerando i tradizionali flussi geologici dell’azoto e l’attività dei batteri cosiddetti denitrificanti che compiono l’attività opposta degli azotofissatori, ma tutti questi altri flussi non incidono in modo sostanziale sull’omeostasi descritta.